Orari di apertura: Lun-Dom 9.00-20.00
La Collezione etnografica dei Musei nazionali di Matera è composta da circa 600 oggetti che raccontano la vita e la cultura contadina e agropastorale lucana del secolo scorso. La raccolta è costituita da marchi da pane, legni intagliati, terrecotte, ceramiche e oggetti collegati al lavoro agricolo e pastorale.
Un primo nucleo è rappresentato dalla Collezione etnografica Domenico Ridola, costituito dagli oggetti raccolti dallo stesso Ridola, durante le sue ricerche paleontologiche nelle campagne del Materano, agli inizi del XX secolo. La maggior parte degli intagli lignei furono invece acquisiti, nei primi anni Sessanta, dall’allora Direttrice Eleonora Bracco. Altri oggetti, soprattutto di tipo cerimoniale, come gioielli, amuleti, ex voto, terrecotte e tessuti, rimandano all’attività di ricerca condotta, in Basilicata, negli anni Sessanta, dall’antropologa Annabella Rossi, che collaborò con l’allora Sovrintendente, Dinu Adamesteanu.
Alla Collezione etnografica Domenico Ridola, si affianca la Raccolta etnografica della Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico e Demo etnoantropologico della Basilicata, con un consistente quantitativo di oggetti raccolti tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta del 900, dal Circolo culturale “La Scaletta” di Matera e acquisiti negli anni 70 dall’allora Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici della Basilicata. Si tratta di elementi di arredo, oggetti per la filatura, utensili di uso domestico, attrezzi da lavoro e abiti.
Nel percorso museale del Museo Ridola si ritrovano alcuni degli oggetti della collezione etnografica Domenico Ridola, come marchi da pane e cucchiai in legno intagliato, insieme alle ceramiche invetriate provenienti da Calvello (PZ), piccolo centro lucano in cui era consolidata la lavorazione della ceramica tradizionale. Gli oggetti furono raccolti dallo stesso Ridola, durante le sue ricerche paleontologiche nelle campagne del Materano, agli inizi del XX secolo. Gran parte degli intagli lignei esposti furono invece acquisiti, nei primi anni Sessanta, dall’allora Direttrice Eleonora Bracco, grazie alla quale il museo cominciò a svolgere il ruolo di istituzione pubblica dedita alla ricerca, alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio e provengono dalle collezioni private di Ugo Annona e Rocco Mazzarone. Altri oggetti, soprattutto di tipo cerimoniale, come gioielli, amuleti, ex voto e tessuti, che fanno parte della Collezione etnografica, rimandano, invece, all’attività di ricerca condotta, in Basilicata, tra il 1966 e il 1967, dall’antropologa Annabella Rossi, dipendente del Museo Nazionale delle Arti e delle Tradizioni Popolari di Roma, tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta del secolo scorso, che collaborò con l'allora Sovrintendente, Dinu Adamesteanu, e che si completa di una serie di oggetti collegati al lavoro agricolo e pastorale. La raccolta è stata, in un periodo successivo ampliata con nuove acquisizioni, fino a contare più di 400 oggetti.
Nella sede del Museo di Palazzo Lanfranchi gli oggetti etnografici dialogano con le foto di Mario Carbone, fotografo e documentarista, nell’allestimento della mostra temporanea La Lucania nelle foto di Mario Carbone, dove le foto che egli scattò, nel 1960, nel suo viaggio in Lucania con Carlo Levi accompagnano gli oggetti cerimoniali e di uso domestico come le conocchie in legno, le stecche da busto e le navette che solitamente si usava regalare come dono offerto dal fidanzato alla futura sposa in segno di promessa e di fedeltà. Oggetti di uso domestico, come marchi da pane, portaspezie e altri esempi di arte pastorale richiamano invece gli ambienti domestici raffigurati nelle fotografie esposte. Gli oggetti esposti fanno parte della Collezione etnografica Domenico Ridola e furono acquisiti, nei primi anni Sessanta, dall’allora Direttrice Eleonora Bracco.
Le fotografie esposte furono scattate da Mario Carbone nella primavera del 1960 durante il viaggio in Lucania in compagnia dello stesso Carlo Levi, che toccò i paesi di Tricarico, Grassano, Aliano, Pisticci, la città di Matera e le campagne circostanti. Carbone aveva 36 anni quando partecipò alla spedizione e aveva iniziato la sua attività di fotografo da giovanissimo in uno studio fotografico del suo paese, San Sosti (CS). La macchina fotografica, per Carbone, funge da mezzo per ricordare l’immagine e fissare il quotidiano rendendo permanenti gli attimi e i luoghi come fossero un punto di riferimento rispetto all’alterabilità della memoria. I protagonisti delle sue fotografie sono uomini semplici, contadini, anziani, donne e bambini nei loro momenti di vita comune e quotidiana. Le immagini da lui realizzate sembrano avere perfetta aderenza all’intento leviano di rappresentare la Lucania e le sue genti. È evidente nelle immagini di Carbone l’alta capacità narrativa della sua fotografia.
Presso il complesso monumentale dell’Ex Ospedale di San Rocco, nelle Chiesa del Cristo Flagellato sono invece esposti alcuni oggetti riferiti alle attività agropastorali e domestiche, come alcuni attrezzi per la tosatura per la lavorazione della terra, insieme a finimenti per animali e utensili per la filatura, in dialogo con la serie fotografica “Misurazioni”, frutto della ricerca che Mario Cresci condusse nel 1979 sulle comparazioni tra oggetti, attrezzi e gesti della tradizione contadina lucana, in una mostra dal titolo Mario Cresci. Analogie lucane. Gli oggetti esposti fanno parte della Raccolta etnografica della Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico e Demo etnoantropologico della Basilicata e furono raccolti tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta del 900, dal Circolo culturale “La Scaletta” di Matera e acquisiti negli anni Settanta dall’allora Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici della Basilicata.
Le immagini esposte rappresentano una parte del lavoro che il fotografo Mario Cresci ha svolto in Basilicata dal 1967 fino alla metà degli anni ‘80. La sua ricerca fotografica è continuata saltuariamente quando, nel 1979, si è identificata con il lavoro Misurazioni. Fotografia e territorio.
Nelle sue fotografie, Cresci, attraverso gli oggetti etnografici, richiama la memoria materiale e la creatività degli anziani che li hanno costruiti, a riprova del recupero della memoria e del tempo vissuto. Attraverso accostamenti di attrezzi, oggetti, ambienti e gesti della tradizione contadina lucana, Cresci crea analogie che, a livello visivo, individuano segni, forme e significati che richiamano un orizzonte simbolico arcaico che diventa, nelle sue opere, collettivo e, allo stesso tempo, contemporaneo. In tal senso, oggetti d’uso domestico e attrezzi agricoli appaiono nella loro complessità semantica e culturale capace di evocare un mondo lontano ma ancora reale. Il rapporto tra cultura e oggetti e la loro rappresentazione visiva è alla base della serie Misurazioni; un ciclo di lavoro sperimentale sulla visualizzazione fotografica di un patrimonio culturale, tradizionalmente identificato con le classi contadine.
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